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Con “L’ultimo uomo bianco” (Einaudi, 2023, nella pregevole traduzione di Norman Gobetti), lo scrittore pakistano Mohsin Hamid chiude un trittico iniziato con “Il fondamentalista riluttante” e proseguito con “Exit West” (di cui abbiamo già parlato su Tre Buoni Motivi per Leggere). Lo fa con un’opera ancora più asciutta delle precedenti e dimostrandosi uno dei pochi autori contemporanei a coniugare uno stile personale e la capacità di spiazzare il lettore lasciandolo, semplicemente, pieno di meraviglia. Non solo la letteratura, ma tutti noi, abbiamo bisogno di scrittori come Hamid.
La trama in breve
Una mattina Anders, un uomo bianco che lavora in una palestra per uomini bianchi, si sveglia ed è diventato nero. Si nasconde, spera che passi e inizialmente si confida con l’amica e amante Oona, che quasi sorprendentemente non è sconvolta dal fatto. Lo è invece il padre di Anders prima che quello che è successo il figlio cominci ad accadere a sempre più persone. Tra i neri, i diventati neri e i bianchi inizia una spirale di tensione e violenza, alimentata soprattutto dai complottismi e dalle paure di chi difende la bianchezza, tra cui spicca la madre di Oona. Le tensioni sociali sembrano essere vicine a un punto di non ritorno, a una specie di apocalisse. Ma man mano che i bianchi continuano a diventare neri, qualcosa definitivamente, inverte la rotta di Anders, Oona e i loro genitori. E di tutti quanti.
Tre buoni motivi per leggerlo
Pur essendo quasi un racconto lungo e sia quasi privo di azione, ne “L’ultimo uomo bianco” succedono moltissime cose e arrivati alla fine i buoni motivi per consigliare di leggerlo sono ben più dei tre che vi proponiamo.
1Hamid è passato dal realismo de “Il fondamentalista riluttante” al realismo magico di “Exit West” per approdare a questo romanzo che sembra un episodio della fortunata serie tv Netflix “Black Mirror”. A questo uso delle strutture narrative corrisponde una crescita esponenziale della qualità della scrittura, che non esito a definire cristallina. Con una semplicità disarmante si esplorano le questioni più complesse, mantenendo il piacere di scorrere le pagine.
2Questa è una storia di fantascienza sociale, che coinvolge l’intera società, ma i protagonisti sono solo quattro. Anders e suo padre, Oona e sua madre. Un mondo in quattro caratteri capaci di essere universali. Come nei suoi libri precedenti, Hamid usa le vicende di persone comuni per dare loro il valore più alto: quello della dignità e della riconoscibilità. Non c’è nulla di artificiale, nei protagonisti de “L’ultimo uomo bianco”, niente che non suoni familiare e vero. Niente che non ci parli. Hamid ci dice una cosa semplice: negli affetti, c’è tutto quello che dobbiamo sapere per vivere.
3All’inizio e nella sua parte centrale, questo romanzo è una distopia. Si respira un’atmosfera simile a “Il racconto dell’Ancella” di Margaret Atwood o al recente “Due del mattino a Little America” di Ken Kalfus, storie che raccontano dove può portarci l’aggressività in cui purtroppo viviamo. Ma quello che rende unico “L’ultimo uomo bianco” è che si rivela un’utopia, ed è per questo che riempie di meraviglia. L’utopia del cambiamento, dell’annullamento delle barriere, di un futuro possibile. E migliore.