Tempo di lettura: 2 minuti
Il soft power culturale della Corea del Sud è sempre più virale e questo rischia di mettere in secondo piano i forti contenuti di critica sociale di film come “Parasite” e serie tv come “Squid Games”.
Un rischio di fraintendimento impossibile nel caso del romanzo di Cho Nam-Joo “Kim ji-Young, nata nel 1982” (La Tartaruga, 2021, traduzione di Filippo Bernardini), finalista al National Book Award del 2016 apprezzato per il suo potente realismo. Un libro che ci mostra un lato oscuro della Corea del Sud ma non solo.
La trama in breve
Kim Ji-Young è nata nel 1982, in una famiglia dove lei e la sorella devono rinunciare quasi a tutto per il fratello più piccolo. Kim riesce a studiare e a trovare un lavoro, ma quando si sposa e ha una figlia deve trasformarsi in una casalinga. Un giorno comincia ad assumere le identità di sua madre e di una amica del liceo. É impazzita? É posseduta? Per capirlo viene portata da uno psichiatra che registra la sua storia di bambina, ragazze e donna costretta a crescere in una società maschilista e ossessionata dalla competizione. Ma a guarire deve essere Kim o la società in cui vive?
Il romanzo di Cho Nam-Joo è tanto essenziale quanto potente e ci sono almeno tre buoni motivi non solo per leggerlo ma per capirlo, bene.
1. Una storia romanzata, ma sulla base di statistiche reali
Se fosse un romanzo inglese dell’800 questa sarebbe una storia lunga, con molti personaggi approfonditi dal punto di vista psicologico. Invece è un romanzo coreano del XXI Secolo e non ha alcun ornamento o deviazione dalla vita della sua protagonista. Racconta una vita normale, ordinaria, uguale a quella di moltissime donne. Inoltre, l’inserimento all’interno del racconto di statistiche sulla condizione della donna in Corea del Sud contribuisce a centrare l’obiettivo dell’autrice: descrivere gli effetti, pervasivi e quasi inesorabili, della disparità di genere. Personaggi veri per un realismo allo stato puro che non leggevamo da tempo.
2. Le contraddizioni di una delle ultime frontiere del capitalismo
Il bullismo, la mortificazione del corpo, le molestie più o meno esplicite sul lavoro o sui mezzi pubblici, la derisione, la disparità salariale, l’emarginazione sociale e infine l’accusa di pazzia. Kim deve affrontare tutto questo, in una società che vorrebbe le donne al servizio dell’uomo ma che ha bisogno del loro lavoro per sostenere le famiglie in una società sempre più competitiva e sempre più schiava dei debiti per studiare, per aprire un’attività, per comprare una casa. La Corea del Sud è una delle ultime frontiere del capitalismo, dove i suoi spiriti animali travolgono tutto, sfruttando prima di tutto i più deboli. A partire dalle donne. In questo romanzo la questione sociale non è mai disgiunta da quella di genere: la libertà o è intera o non è. Per questo parla anche a noi occidentali, perché la precarietà e lo sfruttamento non hanno bisogno di traduzione.
3. Tutti noi conosciamo donne come Kim
Grazie al suo stile, “Kim ji-Young, nata nel 1982” è davvero un libro adatto a lettrici e lettori di qualunque età e la sua protagonista è una figura con cui si empatizza, con cui si soffre, per cui si fa il tifo. Proprio perché tutti noi conosciamo delle Kim o potremmo essere Kim. E quando un personaggio riesce ad essere universale, entra in una dimensione che va oltre la letteratura per diventare simbolo e, quindi, esempio.