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Nella giornata del 6 gennaio, mentre su Rai 1 si sorteggiavano i biglietti vincenti della Lotteria Italia, Rai 2 ha tramesso, in prima serata, i primi due episodi del reboot di Atlas Ufo Robot, ovvero Goldrake, il “robottone” che ha segnato la generazione di chi è cresciuto tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. La generazione a cui appartengo, e che si è schierata davanti alla televisione alla ricerca della propria “madeleine” a cartoni animati e pronta a fare gli inevitabili confronti con la serie originale.
Questa attesa ci dice diverse cose. Innanzitutto l’impatto che ebbe la scelta della Rai, allora del tutto fuori dagli schemi, di trasmettere un prodotto giapponese, lontanissimo dalla tradizione Disney allora dominante per non parlare di quella europea (ricordiamolo: non esistevano ancora le televisioni commerciali che avrebbero inondato di anime giapponesi i programmi per ragazzi del pomeriggio. C’era la Rai, stop). Goldrake, forse inaspettatamente, divenne il centro di un immaginario collettivo e fu protagonista della prima grande escalation del marketing culturale: a Goldrake si dedicarono giocattoli, dischi (chi non conosce la sigla del cartone si trasforma in un raggio missile…) modellini per adulti (oggi le chiameremmo action figure), giochi da tavola, album di figurine, giornalini (allora le riviste per ragazzi si chiamavano così), lungometraggi. E i view master (lettori di diapositive) di cui parliamo con Valentina Bocchino nell’introduzione del nostro “Giappone in tutti i sensi”, raccontando quanto i cartoni animati siano stati decisivi nel diffondere il soft power giapponese, come ben spiega nel suo “Pop” lo studioso Matt Alt.
Credo non sia esagerato dire che i nerd nascono, in Italia, con Goldrake e gli altri robottoni. Nerd che in Giappone si chiamano Otaku e che sono stati e sono un vero e proprio fenomeno culturale di massa, come spiega Hiroki Azumi nel suo fondamentale “Otaku. La cultura che ci ha trasformato in animali accumuladati”, recentemente ripubblicato da Nero (traduzione di Lydia Origlia) con un’introduzione di Marco Pellitteri. E lo stesso Pellitteri ha pubblicato nel 2024 per Rai Libri “Goldrake dalla A alla U. Origine viaggio e ritorno della Sentinella Blu, 1975-2024”, opera fondamentale per capire sia l’evoluzione del personaggio creato da Go Nagai sia, appunto, il dibattito che intorno al cartone si sviluppò. Un dibattito feroce scatenato soprattutto da molti genitori ed educatori, che sottolineavano la violenza espressa da un prodotto pensato per un pubblico, quello giapponese, con parametri molto diversi dai nostri, dove gli anime non sono riservati ai bambini e i robottoni svolsero una funzione sociale importantissima per rielaborare i traumi della bomba atomica come ben spiega Giorgia Sallusti in un capitolo del suo recentissimo “Nella terra dei ciliegi. Undici modi per scoprire il Giappone” (Laterza, 2024).
Non c’erano ancora, allora, il Lucca Comics di oggi, gli scaffali delle librerie stipati di manga (anche molto più efferati di Goldrake) e le sfilate di cosplayer e, soprattutto, mancavano studiosi che si dedicassero seriamente all’analisi dell’arte grafica giapponese. Quelli sarebbero arrivati dopo, provenienti proprio dalla generazione dei telespettatori e scriveranno lavori di grande interesse e sapere come “Guida ai Super Robot. L’animazione robotica giapponese dal 1972 al 1980” di Jacopo Nacci (Odoya, 2016) o “Storia dell’animazione giapponese. Autori, arte, industria, successo dal 1917 a oggi” (Tunuè, 2022).
Oggi i cartoni animati giapponesi non solo sono sdoganati, ma vanno ad alimentare quel filone della nostalgia per cui i reboot sono ovunque, come dimostrano i rifacimenti di Lamù e Ranma su Netflix o il successo di serie come “Karate Kid”. Non è solo “Mazinga nostalgia“, come la definisce e spiega in un suo libro con questo titolo sempre Marco Pellitteri (due volumi pubblicati da Tunuè nel 2018), ma l’indizio di una tendenza dell’industria culturale a battere strade conosciute, e commercialmente più sicure, piuttosto che a investire in nuove idee e nuove storie.
La riproposta di Goldrake contiene quindi il rischio di un impoverimento dell’immaginario, il trascinamento della fantascienza in un paradosso temporale che la blocca in un passato che ritorna continuamente. Ma, allo stesso tempo, ci dice che quello che è stata un’opera di cultura popolare criticata e guardata di sottecchi dall’Accademia, soprattutto in Italia, è diventata ormai un classico da reinterpretare e reinventare come si fa da sempre con le grandi opere. E su cui scriverci e leggerci su, come abbiamo fatto anche noi.